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Il blog del Dott. La Torre
I rischi del sostegno psicologico tra pazienti in alternativa alla ricerca di una cura.
Perché io sono da sempre decisamente contrario al “supporto” e al “sostegno” psicologico tra pazienti e a tutti i gruppi di supporto per acufeni Meniere o vertigini che trovate su Facebook o altrove con questa (apparente) finalità?
Non lo sono in senso assoluto. Non lo sarei se fossero vera fonte di scambio e informazione finalizzata alla ricerca di una cura. Ma sono assolutamente contrario quando il supporto diventa alternativa alla cura, e quando il paziente preferisce chiedere sostegno e inserirsi nel vittimismo collettivo piuttosto che curarsi. Il che è quello che avviene praticamente sempre in tutti questi gruppi, anche quando non ve ne rendete conto. E qui vi spiegherò i rischi, dal punto di vista sociale, micro-sociale (familiare o proprio ambiente quotidiano) e individuale.
1. RISCHIO DI ACCETTAZIONE COLLETTIVA
Dal punto di vista sociale, ovvero di tutta la società, i vari gruppi di supporto contribuiscono a mantenere il concetto errato del non c’è cura perché la lamentela individuale, alla ricerca di pietà collettiva, invece che di soluzioni, crea una tendenza al pessimismo e all’accettazione. E’ un po’ quello che succede nella società nei confronti della politica, quando tutti si lamentano ma ognuno individualmente accetta e non si ribella, perché ritiene di non poter individualmente cambiare le cose. Ovvero si spinge verso l’accettazione della sofferenza allontanando dalla cura, il che andrebbe benissimo se uno poi fosse davvero capace di accettare davvero, ma non certo se poi si sta male.
Dal punto di vista sociale il rischio è il pessimismo e lo scetticismo nei confronti di qualunque cura, e l’accettazione collettiva dell’inevitabile. Se ci pensate bene, sapete che ho ragione!
2. RISCHIO DI STRAVOLGIMENTO DEI RAPPORTI PERSONALI
Dal punto di vista micro-sociale o del proprio ambito familiare, di coppia o affettivo, i gruppi di supporto creano alienazione dal rapporto “vero”, per cui l’amico, quello che mi capisce, perché sa quanto soffro è il paziente, mentre il familiare o l’amico vero non malato (seppur persona che ci ama e al quale stiamo a cuore molto più che a estranei con i quali si hanno rapporti magari solo in chat e mai visti) diventa l’altro, l’estraneo, colui che non può capire la mia sofferenza.
E il medico stesso, per quanto sia competente (il che lo ammetto, è raro nel mio settore!) è, secondo questo ragionamento, un estraneo al proprio dolore in quanto non sa davvero cosa il paziente prova. Come se un ginecologo dovesse essere per forza donna per poter capire i problemi delle sue pazienti. Immagino che a questo punto chi ragiona così dovrebbe fidarsi solo di uno psichiatra con disturbi psichiatrici per farsi curare da lui. Sorridete pure ma se ci pensate bene, sapete che ho ragione. Sapete quanti sono felici di sapere che io ho acufeni (insignificanti e non fastidiosi e mai richiedenti di sicuro una cura) o ha avuto attacchi di vertigine, perché “allora posso capire…“? Tutto questo è assurdo.
Dal punto di vista micro-sociale, familiare o del proprio ambiente relazionale, il rischio e’ l’alterazione dei rapporti individuali personali, per cui diventano più veri amici i pazienti trovati su Facebook, nei quali ci si riconosce, che gli amici reali, o il partner, o i familiari. Allargato al medico che dovrebbe essere un amico, uno della stessa squadra, questo diventa quasi un nemico dei “sofferenti”, dei quali ci si fida di più che del medico stesso. Se ci pensate bene, sapete che ho ragione!
3. RISCHIO DIPENDENZA DALLA PIETA’ ALTRUI
Dal punto di vista individuale, il paziente che utilizza il sostegno morale dei suoi amici sofferenti come lui come principale risorsa terapeutica diventa dipendente da loro e dal supporto. Il sentirsi meno solo, il capire che altri lo capiscono e soffrono, crea dipendenza. Il paziente diventa bisognoso di malati incurabili e non curati attorno a lui, più che di persone che invece sono felici e stanno bene.
Paradossalmente più una cura funziona e tira fuori dalla lista dei “malati disperati” singoli individui e più il paziente che si affida alla pietà e commiserazione come suo unico mezzo di cura è costretto a cercarne altri… sentendo come estraneo colui che oggi non è più disperato non stando più male. Quante amicizie nella vita reale si rompono perché seppur si fosse insieme sui banchi di scuola uno ha avuto successo e l’altro rimasto al palo? Agli estremi si arriva addirittura al risentimento nei confronti di chi ce l’ha fatta e lo potete vedere in molti gruppi dove si legge solo odio e disperazione e sofferenza ma nulla di costruttivo e dove chi porta una luce nuova viene isolato, invece di essere il benvenuto.
Si crea così una vera e propria dipendenza che porta il paziente a cercare sempre più la commiserazione che non la cura. Al pari della dipendenza dall’alcool o dalle droghe si scopre presto che questi possono alleviare il dolore, ovvero funzionano, e si finisce per non poterne più fare a meno. E come un dipendente da alcool o droghe finisce per distruggersi, perché si appiattisce la capacità di combattere o fronteggiare i problemi in favore della soluzione “anestetica” (visto che temporaneamente “funziona” nel ridurre la sofferenza) rappresentata da alcool o droga, spesso queste persone diventano “pusillanimi” (piccola anima) ovvero persone sempre più fragili e schiacciabili da tutto e non solo dalla loro “patologia”. Tenendo presente che spesso tutto è cominciato proprio a causa di stress capace di battere la resistenza individuale, che quindi è già compromessa.
A livello individuale la conseguenza può essere l’appiattimento dell’individuo e la dipendenza dalla pietà’ e commiserazione altrui. Se ci pensate bene, sapete che ho ragione!
4. IL VANTAGGIO SECONDARIO MICRO-SOCIALE
La condizione di “malato”, e non siete malati, ma avete dei disturbi, peraltro, porta a volte vantaggi secondari non indifferenti a livello del proprio ambito familiare che non si sarebbero altrimenti ottenuti. Il partner, marito, moglie o chi sta accanto è costretto a dare al paziente una maggior attenzione, perdonare di più e concedere quindi quel che non sarebbe concesso altrimenti a un soggetto “sano”. E per alcuni è difficile a quel punto dopo anni magari di questi “benefici” derivanti dalla patologia, rinunciarci.
In casi limite, la presunta soluzione alternativa, che non lo è affatto se non del tutto temporaneamente, della solidarietà di altri “sofferenti”, porta a vera e propria resistenza alla cura. E la formula benefici acquisiti grazie alla patologia nel proprio ambito affettivo con supporto di pietà di “chi mi può capire” può sembrare la soluzione più facile piuttosto che la faticosa rinuncia al diritto di lamentarsi accettando che esista una cura.
Sono a conoscenza di moltissimi casi individuali nei quali con certezza era chiaro che il paziente ha rinunciato alla cura o a proseguirla o ha perfino mentito sui risultati ottenuti in quanto ormai “troppo tardi” o “troppo scomodo” cambiare l’equilibrio di vantaggio secondario creato dalla sua condizione.
A livello micro-sociale la conseguenza è che diventa più difficile accettare la rinuncia ai vantaggi secondari acquisiti e magari consolidati. Se ci pensate bene, sapete che ho ragione!
Da signor nessuno a leader e a volte… leader retribuito. Ecco il vero motivo per il ci sono sempre più gruppi di supporto creati da pazienti.
Una delle cose più pericolose nell’identificare altri pazienti sconosciuti come l’amico del quale ci si fida di più degli stessi familiari o dei medici, è la sempre più frequente tendenza alla auto-creazione di leader dei sofferenti (i deboli hanno comunque sempre bisogno di leaders!) che porta persone altrimenti “perfetti signor nessuno“, spesso persone altrimenti del tutto prive di alcun ruolo sociale, o perfino con disturbi psicologici, a cercare il successo personale diventando questi leader fondando una associazione di pazienti o un gruppo di supporto.
E allora ecco che continuamente salta fuori un nuovo gruppo con un nuovo leader che si sente un nuovo messia o profeta in grado di condurre e dirigere le masse. E questi leaders sono spesso persone in guerra con la medicina e i medici il cui obiettivo principale, quando addirittura non hanno trovato il modo di farci i soldi e capita più spesso di quanto non sappiate, alleandosi a medici, scrivendo libri, o perfino offrendo abusivamente cure, è la persistenza del concetto che non c’è cura. Perché se poi ci fosse una cura, e i pazienti smettessero di cercare la compassione degli altri pazienti o leader che condividono e capiscono la loro rabbia, loro tornerebbero a essere un perfetto “signor nessuno“.
Ovviamente in questi gruppi “volontariamente” vale il “facimm’ ammuina” ovvero facciamo confusione. Non emerge mai nessuna vera terapia… ma solo ricerche e ricerche interminabili, tutte con possibili future e mai realmente oggi attuabili, con il primo convinto che non emergerà nulla è il paziente-leader stesso che ormai spesso non soffre più davvero, perché grazie al suo acufene o alle sue vertigini, lui che sarebbe altrimenti rimasto ai margini della società come uno tra i tanti, è diventato un noto e rispettato leader. Con l’eccezione di quando come detto sopra non si è trovato poi il modo di far soldi a spese dei poveri altri pazienti alleandosi con qualche medico. E non è assolutamente raro, purtroppo.
Questo fenomeno avviene in modo evidente, uscendo dalla Medicina, nella religione cristiana (non in quella cattolica più vincolata a un forte potere centrale) dove si assiste a un continuo fiorire di nuove congregazioni con nuovi profeti e predicatori, che non dicono assolutamente nulla se non invitare alla accettazione del volere di Dio. In Africa (ma anche negli Stati Uniti) ad esempio è un fenomeno di una portata impressionante. In Zimbabwe ho assistito a cinque ore (cinque!!!) di predica allucinante (stavo crepando ma ero stato invitato e non potevo andarmene), condita da continui “Ricordate che siamo Africani, non ci hanno creato per essere ricchi, noi siamo e resteremo sempre poveri, ma la nostra forza non è il denaro ma la fede nel nome di Gesù. Smettetela di desiderare i beni terreni, o di avere ambizioni e tenete la testa bassa“. Il tutto però ovviamente seguito da richieste di denaro per mantenere la chiesa privata da lui creata, che poveri vuole gli altri mentre lui fa un sacco di soldi, però, e da finti miracoli (finti, ma se credete ai miracoli, andate in Africa a farvi curare che ho visto ciechi tornare a vedere e gente in sedia a rotelle camminare solo perché il “profeta” gli aveva toccato la fronte!). Perfetti signor nessuno, un po’ più svegli della media, diventati importanti grazie alla incapacità di crescita e obiettiva valutazione dei loro fedeli “personali”, ai quali insegnano solo ad… accettare. E pagare! Non molto diversi alla fine da tanti pazienti-leader che trovate in giro a creare gruppi di supporto.
Il bisogno di pietà’ e commiserazione e il cercare aggregazione e congregazione tra sofferenti porta alla auto-creazione di pazienti leader fondatori di nuovi gruppi, che hanno tutto l’interesse a mantenere lo stato attuale di disperazione collettiva. Altrimenti perderebbero il loro ruolo che li ha trasformati da signor nessuno a leader improvvisati e auto-creati, venendo a mancare le necessità se i pazienti cercassero di curarsi invece che di lamentarsi in gruppo. Avete mai visto un re in carica che scende in piazza a gridare contro la monarchia invocando la repubblica? Se ci pensate bene, sapete che ho ragione!
E se non bastasse, in questo blog trovate un altro post, strettamente collegato a questo argomento e con prove di quel che affermo sulla non vera finalità di aiuto di chi crea e gestisce questi presunti gruppi di supporto.
[Ecco cosa succede davvero nei gruppi Facebook]
Dr. Andrea La Torre
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Una opinione su "I rischi del sostegno psicologico tra pazienti in alternativa alla ricerca di una cura."